Il rapporto che ognuno di noi ha con il cibo può assumere diversi valori. Esso rappresenta la nostra fonte di sostentamento, può costituire un momento di piacere, di gratificazione e di rilassamento dopo una giornata lavorativa frenetica ed ancora può costituire il perno attorno al quale ci si riunisce, ci si ritrova con uno spirito di condivisione.

Tuttavia vi sono anche relazioni con il cibo più conflittuali, il “mangiare” di fatti potrebbe diventare un pensiero persistente e costante, in cui la parte gradevole e piacevole associata all’assunzione di cibo viene soppiantata da connotazioni negative; si potrebbe avere la percezione di entrare in un circolo vizioso caratterizzato da comportamenti automatici inerenti al mangiare all’interno del quale non si riesce a scorgere via di fuga.

Talvolta si può percepire un discontrollo del proprio comportamento rispetto al cibo che potrebbe condurre alle cosiddette abbuffate, cioè l’ingestione di una quantità di cibo superiore rispetto alla quantità media degli individui, atteggiamento caratterizzato da una sensazione di perdita il controllo, quindi qualcosa che va oltre alla nostra volontà.

Altre volte il cibo può assumere la funzione di mascherare e coprire emozioni dentro di noi scomode, che sarebbero intollerabili e forse faticose da gestire; per cui il nostro sistema decidere sapientemente di nasconderci il problema e di utilizzare il cibo come un tappo, un rattoppo rispetto ad un bisogno emergente che non è quello della “fame”; la conseguenza sarà quella di ottenere sì una gratificazione, ma sarà temporanea e lascerà spazio in breve tempo ad una sensazione di malessere.

Per non rischiare di incorrere in generalizzazioni, è importante ricordare che un’alimentazione non equilibrata può essere dovuta anche alla cristallizzazione di cattive abitudini o ad una mancanza di tempo per prepararsi un pasto salutare.

Tuttavia, se dovessimo incontrare delle difficoltà a seguire un’alimentazione che sia non dannosa e nociva per il nostro corpo, se non riuscissimo a seguire un piano alimentare che ci è stato consigliato, risulta fondamentale chiedersi il perché non riusciamo a mettere in atto un comportamento che rappresenta un modo per prenderci cura di noi. Cos’è che ce lo impedisce?

Il rapporto che ognuno di noi ha con il cibo inizia andando indietro nella storia di ciascuno; esso, tramite l’allattamento, è il primo elemento che ci lega alla figura materna ed è grazie a questa prima esperienza che il neonato inizia ad instaurare le sue relazioni interpersonali con il mondo circostante.

Dato questo forte legame fra cibo, relazioni interpersonali e mondo esterno, gli atteggiamenti alimentari caratterizzati da discontrollo oppure da eccessiva restrizione possono avere origini antiche, ancestrali, possono rappresentare delle modalità in cui la persona ha imparato a stare nel mondo e a relazionarsi con esso.

È importante quindi fermarsi e concedersi del tempo per riflettere sui nostri comportamenti alimentari che spesso diventano automatici e fuori dal nostro controllo.

Cosa fare se questo rapporto disfunzionale con il cibo diventasse fastidioso, ingombrante e pericoloso per la propria salute?

Un percorso psicologico può rappresentare uno spazio accogliente e non giudicante in cui indagare insieme, persona e psicologa, quali sono i meccanismi che mantengono la relazione con il cibo disfunzionale e nociva per la propria salute.

Durante i colloqui psicologici il professionista può aiutare il paziente nell’esplorazione del tema dell’alimentazione, andando a focalizzarsi su quei messaggi sottostanti registrati dentro di noi che non ci permettono di prenderci cura della nostra persona anche attraverso il cibo, con l’intento di giungere a nuove consapevolezze e svolgere un primo passo per migliorare la propria condizione di benessere.

Dott.ssa Angelica Bollini

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