IL PEDAGOGISTA CLINICO E LA PANDEMIA

Il primo paradosso che registro nel mio lavoro come pedagogista clinico è che sia i
bambini che gli adulti sono disorientati, angosciati, si sentono soli, sperduti. Hanno paura.
Ci sono persone che hanno vissuto l’isolamento in maniera diversa dagli altri:
 ad alcune persone, lo stare a casa, ha consentito di rifugiarsi nelle proprie dimore.
In questi casi la quarantena non è stata un incubo, ma un sogno che si realizza: vivere
solitari senza dover più sopportare il peso psichico della relazione, trasformando la propria
casa in una tana.
Ma ciò ha creato anche la difficoltà di ritornare all'aperto, ad abbandonare il chiuso.
Il distanziamento sociale è anche evitare lo sconosciuto, l'aperto, l'ignoto. Non c'è dubbio
che per diversi soggetti il confinamento si sia rivelato una soluzione radicale del problema
della relazione.
 Diversamente persone che non riuscivano più a stare chiusi in casa, li ha spinti a
desiderare di ritornare il prima possibile all'aperto.
La quarantena ha messo alla prova le nostre risorse emotive più profonde. Ci ha reso
meno iperattivi, infatti in principio abbiamo notato giardini perfetti, case ridipinte, svuotato
cantine, soffitte ma poi, finito tutto questo l’iperattività delle persone ha dovuto rallentare la
sua corsa.
Lentamente la privazione della libertà ha colpito soprattutto i giovani e i bambini cioè i più
incapaci di coltivare interessi profondi senza ricorrere alla convivialità dell'incontro o alla
socializzazione.
Ho parlato con bambini che hanno paura di andare al parco perché c’è il “Covid 19” senza
sapere cosa sia un virus e che danni possa fare. Per un bambino comprendere qualcosa
di astratto è molto difficile. Quindi s’insinua la paura di qualcosa che c’è ma non si vede.
Ci sono bambini che anche mantenendo le distanze si rifiutano di togliere la mascherina,
perché spaventati da qualcosa che non sanno cosa sia.

Le conseguenze della pandemia
Lo stravolgimento delle abitudini di vita, il distanziamento sociale, il senso di incertezza e
precarietà, l’iper-responsabilità individuale o, al contrario, vissuti di de-
responsabilizzazione sono alcuni degli elementi che possono ostacolare la possibilità (e
necessità!) di sperimentare ed esplorare tipica del periodo adolescenziale.
La didattica a distanza può essere associata a vissuti di solitudine e inadeguatezza relativi
allo studio, con preoccupazioni relative al non riuscire a stare “al passo” dei compagni.
Certe sensazioni possono condurre a sperimentare difficoltà di attenzione e concentrazione, desiderio di abbandono, calo dell’impegno e del rendimento scolastico.
Oppure, al contrario, ad attuare comportamenti di iper-controllo come “l’iper-studio”,
soltanto apparentemente meno dannosi.
Inoltre, fuori da scuola, le limitazioni nella possibilità di svolgere attività sportive o di
incontrare gli amici limitano i processi di socializzazione e privano di stimoli preziosi il
cervello dell’adolescente che, tipicamente, tende ad annoiarsi più facilmente rispetto a
quanto accada in altre fasi evolutive. Questi elementi sono fonte di difficoltà per la maggior
parte degli adolescenti.
Se essere genitore di un adolescente tipicamente non è un ruolo semplice da assolvere, in
questa fase probabilmente è ancor più complesso.

Sostenere e proteggere i figli

Sicuramente, di primaria importanza è il fatto di poter comprendere e sostenere
emotivamente i propri figli e proteggerli.
In tal senso diventa prezioso accogliere le loro paure e i loro timori. Anche se, talvolta,
questi possono apparire eccessivi o ridondanti. È cruciale normalizzare le emozioni che
provano e spiegare loro che possono provare emozioni anche molto diverse e contrastanti
e che questo è del tutto naturale.
Può essere utile spiegare che è normale provare ansia e paura in tante situazioni, che
sperimentarle non è pericoloso e che non significa essere malati, o avere un disturbo.
Potrebbe essere utile aiutare il proprio figlio ad identificare cosa prova (ad esempio, mi
sento impaurito), dare un senso a quello che prova e normalizzare questa esperienza (ad
esempio, è normale tu sia impaurito se a scuola ci sono due classi in quarantena) e
incoraggiarlo a provare a lasciare andare e “fare scorrere” certe esperienze emotive, nella
consapevolezza che non è necessario eliminarle o fare necessariamente qualcosa per
scacciarle.
Dover trascorrere più tempo a casa limita necessariamente certi movimenti di
esplorazione e autonomia, che tipicamente in questa fase evolutiva vengono agiti fuori
dalle mura domestiche.
Per quanto possibile, diventa quindi importante poter garantire ai propri figli degli spazi
privati di esplorazione, rispettandone i confini sia in termini di tempo che di spazio fisico.
Così, prezioso diventa il limite di una porta chiusa che, per essere aperta, richieda
l’autorizzazione del ragazzo stesso. Per quanto complesso, idealmente il messaggio da
trasmettere è quello di esserci, mantenendo e rispettando però i loro confini.

Oltre alla comprensione, il sostegno e il rispetto della distanza, è necessario al contempo
una corretta sollecitazione del senso di responsabilità dell’adolescente.
Questo può tradursi nel porre richieste pertinenti, come un compito di cui occuparsi in
casa.
È importante sollecitare il senso di responsabilità dei ragazzi.
E’ importante che il genitore rimanga una figura autorevole in grado di imporre regole e
limiti anche non concordi al desiderio dei figli, seppur agite al fine ultimo del loro
benessere.
L’ideale è che tali regole, limiti e confini siano chiaramente spiegati. Sia in riferimento al
senso della loro esistenza (ad esempio, a questa ora spegni la luce perché è importante
che tu possa riposare adeguatamente per la tua crescita), sia in relazione alle
conseguenze che ci saranno qualora tali limiti non vengano rispettati (ad esempio, se
questo non accadrà domani non giocherai alla playstation).
Il cambiamento delle abitudini di vita rende importante riuscire a mantenere una certa
routine e, nel caso degli adolescenti, questo implica necessariamente l’impegno del
genitore nel farla rispettare.
Le regole potranno essere rinegoziate e può essere utile sperimentare insieme la
contrattazione di qualcuna di queste, magari assumendosi compiti reciproci precisi, come
in una sorta di contratto.
Infine, per promuovere l’adesione alle regole è utile tenere a mente l’importanza del
rinforzo positivo, riconoscendo l’impegno del figlio e premiandolo quando agisce
comportamenti rispettosi delle medesime.
Anche in famiglia diventa importante coltivare spazi in cui dedicarsi ad attività che
consentano di creare uno spazio per stare insieme, condividere, giocare ed esplorare, al di
là del coronavirus.
Guardare insieme una serie tv, oltre al momento di condivisione della visione in sé, può
offrire anche stimoli di discussione comune in altri momenti della giornata. Dedicarsi alla
preparazione di una cena con più portate, a partire dalla discussione e contrattazione per
la scelta di un menù che sia negoziato e approvato da tutti i componenti della famiglia.
Le attività sono potenzialmente infinite e possono dipendere dagli interessi dei componenti
della famiglia, ma anche dal desiderio di scoprire insieme e sperimentarsi in nuove attività
cui nessuno si era dedicato prima.

Il compito del Pedagogista clinico, in questo momento pieno di confusione e incertezza, è
trovare un punto focale all’interno della famiglia. Educare i genitori ad utilizzare modalità
diverse con i propri figli rispetto a un anno fa. Non è solo la pandemia ma ogni neonato,
bambino, adolescente ha cambiato la sua visione di vita e, un anno per loro, non si
traducono solo in 12 mesi persi, sono 12 mesi che non torneranno più in un’età così
difficile, perché al suo interno troviamo lo studio, la socializzazione, la manualità, la
frustrazione di un brutto voto, la routine dell’uscire di casa per andare a scuola, la
condivisione delle feste assieme ai parenti, amici ecc. quindi questi momenti dovranno
tornare con modalità e strategie diverse. Il compito del Pedagogista clinico è aiutare le
famiglie in questo passaggio così difficile.

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