Il bambino che piange nei primi giorni, settimane e mesi della sua vita è la costante che molti genitori si trovano a vivere nella loro nuova esperienza familiare. A volte questa situazione crea dispiacere e persino senso di incapacità, quando in realtà tutti ci dovremmo ricordare che il pianto è il modo che il bambino ha di comunicarci una sua esigenza.

Il pianto del neonato: perché non è sinonimo di incapacità dei genitori

Il pianto del neonato è qualcosa di assolutamente normale. Un bambino che piange sta infatti usando l’unico strumento a sua disposizione per comunicare con i genitori quali sono i suoi bisogni. Per questo un neonato piange quando ha fame o quando ha sonno, oppure se deve fare dei bisogni o ha bisogno semplicemente di coccole e affetto.

Eppure, molti neo genitori si preoccupano e iniziano ben presto ad associare il pianto del loro bambino a una loro incapacità di provvedere alle sue necessità. Il risultato è che molte madri e padri iniziano a soffrire il bambino che piange e a porre rimedio al suo pianto, impedendolo anche fisicamente, ad esempio portando il bambino al seno, infilandogli il ciuccio in bocca oppure cercando di placarlo con coccole e canzoncine.

Il problema è che se queste attività non corrispondono alle reali necessità che il bambino sta comunicando, allora il pianto non si arresterà e probabilmente la frustrazione del genitore aumenterà, causando inutile stress tanto al neonato quanto al resto della famiglia.

I genitori dovrebbero invece comprendere che il neonato, attraverso il pianto, sta parlando e comunicando con loro: solo accettando questa verità ci si metterà nelle condizioni di ascoltare e capire davvero il bambino, iniziando a decifrare i suoi reali bisogni e rispondendo con le azioni giuste per calmarlo.

Perché un bambino piange

Come abbiamo visto, il pianto del neonato può significare tante cose.

Per comprenderne le vere ragioni, è importante riconoscere come il bambino piange e associarlo alla giusta causa, in modo da intervenire con le opportune risposte, sia da parte della mamma che del papà.

Anche se non si tratta di regole universali, di solito un bambino piange secondo un certo ritmo e intensità, ad esempio per:

  • Fame: il pianto inizia a bassa intensità e poi diventa più forte e ritmico;
  • Sporco: quando il bambino si sente sporco, potrebbe piangere in modo lamentoso per segnalare la necessità di essere cambiato e lavato;
  • Necessità di affetto: pianto molto forte, improvviso, accompagnato da agitazione;
  • Sonno: il bambino inizia prima a piagnucolare e poi aumenta la sua intensità, spesso stropicciandosi gli occhi;
  • Dolore: spesso dovuto alle coliche, è un pianto spasmodico, molto forte e improvviso; conosciuto anche come pianto colitico, termina generalmente dopo i primi 3 mesi di vita.

Cosa fare quando il bambino piange

Di fronte al pianto di un neonato, la prima cosa che molti genitori fanno è correre ad assistere il proprio bambino, prendendolo in braccio.

In realtà, soprattutto all’inizio, sarebbe importante attendere alcuni istanti prima di qualsiasi intervento, in modo da capire perché il neonato sta piangendo. Così diventerà più facile fornire al bambino ciò di cui ha davvero bisogno, diminuendo lo stress ed entrando maggiormente in sintonia l’un l’altro.

Se il bambino piange per fame, voglia di coccole, sonno, diventerà relativamente facile soddisfarlo offrendogli cibo, affetto e amore.

Altre volte, invece, non sarà così facile indovinare il motivo del suo pianto. Potrebbe anche capitare di comprendere perché sta male, ma di non riuscire a placare i suoi bisogni. In caso di dolore e di coliche, ad esempio, non basta l’intervento affettuoso del genitore per dare sollievo. L’importante è non perdersi d’animo e non vivere i pianti e le grida del bambino come una colpa.

Pianto del bambino e auto consolazione

Con il tempo, il genitore potrebbe anche iniziare a spronare il proprio bambino a calmarsi da solo, senza il suo intervento. Diversi studi hanno infatti messo in luce che già da neonati siamo dotati di un sistema di auto-consolazione.

Questo è vero soprattutto nel caso in cui il bambino pianga alla ricerca di affetto. Abituando gradualmente il neonato a un intervento tardivo da parte di mamma e papà, il bambino inizierà a incoraggiare ancora di più questa abilità innata, imparando così a rilassarsi da solo e a sviluppare una maggiore autonomia e controllo.

Ovviamente, per arrivare a questo, i genitori dovranno mettere in pratica le loro doti di ascolto, pazienza, comprensione: soprattutto, devono imparare a riconoscere e conoscere il loro bambino, abituandosi ai suoi schemi e alle sue necessità. Una volta compresi i segnali, diventerà più facile instaurare un rapporto sano per entrambe le parti.

Soprattutto, dobbiamo ricordare tutti che un’altra cosa altrettanto naturale e fisiologica, oltre al pianto del bambino, è la nostra incertezza: come genitori, dobbiamo comprendere che non saremo sempre all’altezza di ogni situazione, e che le soluzioni si possono trovare attraverso il dialogo, la comunicazione e la comprensione.

Si dice che nessuno nasca imparato: e allora l’importante è “imparare a imparare”, giorno dopo giorno.

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