Da dove sono venuto? Dove mi hai trovato?
Domandò il bambino a sua madre.
Ed ella pianse e rise allo stesso tempo
e stringendolo al petto gli rispose:
tu eri nascosto nel mio cuore bambino mio,
tu eri il Suo desiderio.
Tu eri nelle bambole della mia infanzia,
in tutte le mie speranze,
in tutti i miei amori, nella mia vita,
nella vita di mia madre,
tu hai vissuto.
Lo Spirito immortale che presiede nella nostra casa
ti ha cullato nel Suo seno in ogni tempo,
e mentre contemplo il tuo viso,
l’onda del mistero mi sommerge
perché tu che appartieni a tutti,
tu mi sei stato donato.
E per paura che tu fugga via
ti tengo stretto nel mio cuore.
Quale magia ha dunque affidato il tesoro
del mondo nelle mie esili braccia?

  1. Tagore

Dalla bellezza di questa poesia ci addentriamo in quel viaggio entusiasmante chiamato maternità.

Diventare madre, l’inizio di un’avventura

Una madre diventa tale prima ancora di conoscere il suo piccolo. Ne avverte i movimenti, fantastica per nove mesi gli infiniti possibili scenari di interazione con il suo bambino e si immagina lei stessa in un questo nuovo e impegnativo ruolo. Assieme al papà crea un nido confortevole per l’arrivo del piccolo, disegna prospettive di un futuro non troppo lontano e gioca con la fantasia a comporre un volto che ancora non conosce.

Fino a che non nascerà, però, il bambino è uno sconosciuto a tutti gli effetti.

I genitori non conoscono il suo temperamento, non conoscono neanche se stessi in questa nuova veste e difficilmente riusciranno a dipingere in anticipo come saranno le interazioni fra questi due nuovi mondi nascenti: il bambino e se stessi come genitori.

Madre e bambino: conoscersi non è sempre facile

Non per tutte le mamme può essere amore a prima vista. Come capita spesso nelle relazioni interpersonali, non accettiamo incondizionatamente l’altro, così per come egli è. A volte passiamo attraverso fasi di adattamento dove l’altro, nella sua diversità, ci spinge a metterci a confronto con parti di noi che non conosciamo.

Come in tutte le relazioni umane, si sperimentano emozioni contrastanti. Il bambino arriva con delle grandi richieste di attenzione e di accudimento. Non attende, non ha la capacità di comprendere il nostro punto di vista e di regolarsi nell’interazione con noi. Richiede e basta.

A volte, per alcuni genitori, l’arrivo del piccolo può essere destabilizzante. Immaginiamoci di porci a confronto nella realtà con un essere umano che, pur donandoci emozioni indescrivibili, arriva e impone i suoi ritmi, scombina piani e routine, assorbe energie e tempo, inizialmente senza dare nulla in cambio, neanche un sorriso. Nei primi 40 giorni infatti, il bambino non interagisce particolarmente a livello di espressioni facciali con i genitori e usa solo il pianto per esprimere uno stato di disagio. I genitori sono spinti a compiere un notevole sforzo di identificazione nei confronti dei suoi bisogni.

Smontiamo il mito della “mamma perfetta”

‘’Perché piange?’’ è una domanda che affligge spesso le neomamme.

Nel solo chiedersi questo, si attiva il loro sistema di accudimento, ma per entrare in profonda sintonia con i bisogni del bambino il genitore, soprattutto la mamma, deve poter attingere a quelle profonde esperienze dentro di sé, entrare in contatto con le sue parti più piccole e vulnerabili.

Il pianto è qualcosa di pre-verbale, inizialmente poco prevedibile e questo può anche angosciare i genitori in un primo momento. Infatti, questi sono costretti ad andare per tentativi ed errori almeno all’inizio, offrendo non sempre subito la risposta giusta ai bisogni del bambino. Rassicurante è il fatto che il contatto con il neonato attiva maggiormente l’emisfero destro del genitore, e questo fisiologicamente facilita la sintonizzazione.

Nonostante questo, non escludiamo la complessità di mettersi in contatto con un essere umano che pretende di essere capito senza avere la capacità di farsi comprendere, se non attraverso modalità comunicative molto indifferenziate. Per alcune donne, specie quelle con tendenze al controllo, questo panorama può essere inizialmente anche angosciante.

Inoltre, il fatto di avere il bambino molto spesso addosso, di non potersi separare da lui può generare sentimenti ambivalenti nei suoi confronti, che molto spesso sono seguiti da un forte senso di colpa. A tal proposito, soffermiamoci nel rompere il primo grande clichè della perfetta mamma secondo la quale, avendo dato la vita, dovrebbe essere sempre serena ed entusiasta!

In realtà, circa il 70-80% delle mamme vive nel dopo-parto il cosiddetto fenomeno del baby-blues, cioè uno stato emotivo transitorio determinato da umore instabile, crisi di pianto, tristezza e stanchezza. È associato ai processi di adattamento ormonale e psichico che la donna sperimenta nelle prime settimane dopo il parto.

È quindi chiaro che diventare mamma richiede un lavoro psichico, fisico e relazionale molto profondo, che coinvolge diverse sfere della nostra identità.

Tuttavia, dobbiamo ricordare che diventare genitori è un’opportunità: dare la vita richiede sacrifici, ma allo stesso tempo dona gioia e un senso di immensità.

Un invito ai genitori a vivere l’ambivalenza di questo momento, passandoci attraverso, riconoscendo i segnali di eccessive fatiche quando presenti, imparando a chiedere aiuto se se ne avverte il bisogno, oltrepassando i modelli con cui confrontarsi, per abbandonarsi alla ricchezza, alla complessità e all’unicità di questa grandiosa esperienza.

Articolo a cura della Dottoressa Francesca Guglielmi Psicoterapeuta presso Le NoveLune.

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